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Matera - Il Castello di Picciano

Picciano Matera Matera Oggi sappiamo che il casale di Picciano ebbe a che fare con le vicende crociate, quando i Cavalieri Templari, sorti per difendere l'accesso ai luoghi santi dai banditi e dalle incursioni e per accompagnare i pellegrini che ripetevano il rito del battesimo di Cristo, si insediarono presso Matera costituendo una magione lungo le via medievale verso Bari.

I Templari avevano fondato a Potenza il tempio di S. Maria del Sepolcro, la mansione di S. Martino dei Poveri, posta lungo le mura di Forenza, la mansione di San Nicola di Melfi, nella media Valle dell’Ofanto, che appartenne alla casa del Tempio di Lavello, la chiesa di S. Maria Mater Domini (anticamente detta dello Spirito Santo), che recentemente è stata messa in luce durante i lavori di ripristino di Piazza V. Emanuele a Matera e, appunto, il complesso di S. Maria di Picciano, a circa 12 km da Matera in direzione di Gravina. Posizionata, quindi, strategicamente rispetto al territorio pugliese, era uno snodo essenziale per il traffico dei pellegrini.

La mansione di Picciano non esiste più, ma una tradizione vuole che fosse appartenuta ai Templari nel 1270; sul fondo alla navata destra, infatti, è murato un bassorilievo raffigurante uno stemma con tre merli del commendatore frate Silvio Zurla.

Si racconta che in una notte di luna piena, ad alcuni pellegrini giunti presso l’Ospizio, era apparso un lupo con i denti rossi di sangue. Esso aveva anche parlato dicendo loro: “Se voi partite da questo luogo senza pentirvi di essere santi, io vi farò morire entro la giornata!”

Lo sgomento venne improvviso, e tutti, anche se stanchi della fatica, corsero in chiesa per chiedere perdono dei peccati commessi. Il monaco-sacerdote, ignaro di tutto, fu svegliato dal baccano e dalle grida di spavento dei numerosi viandanti. “Che è, che succede? Vi ha morso il diavolo?” Mai frase così vera fu detta. Insieme corsero dal santo per chiedergli conforto raccontandogli l’accaduto. “Ah, non vi preoccupate, il diavolo è dappertutto ed è addirittura donna. Si chiama Yolanza e, anni fa, vendette l’anima al diavolo per fuggire finalmente da questo castello e ritornare nella sua patria, Antiochia; l’avevamo catturata lì durante una scaramuccia e portata come schiava addetta alle pulizie. Ma volle accanirsi su tutti i monaci chiedendo loro di soddisfarla e, così, l’abbiamo sgozzata”.

Passò una notte intera e Yolanza non fece sentire neanche il suo ululato, ma il giorno seguente fu trovato cadavere un guardiano della mansione cui era stata tagliata la gola. Tutti si impaurirono a vedere tale scempio e si prepararono a partire. “Non fuggite –implorò il monaco– non fuggite e vi dirò come salvare l’anima per sempre, senza raggiungere Ierusalèm, venite e vi dirò tutto”. Si scoprì che presso quella stazione di pellegrini vi era un luogo magico e oscuro, dove avvenivano da sempre delitti misteriosi. Uno di questi pellegrini, tale Riccardo di Andria, volle vederci chiaro. La notte seguente volle appostarsi di nuovo e vide una cosa veramente strana. Un monaco indossava una testa di lupo con i denti insanguinati. “Aahh, vi ho scoperto finalmente!” –esclamò Riccardo– “Volete impaurire i pellegrini con queste storie fasulle!”

I monaci malefici furono scoperti e cacciati dal tempio di Santa Maria di Picciano, ma qualcuno sostiene che per essi, dediti alla magia con la complicità dei boschi, fu escogitato questo trucco per poterli poi allontanare definitivamente dalla storia, come poi davvero accadde.

FONTE: Consiglio Regionale di Basilicata.